La sicurezza aziendale e i diritti dei musulmani: tra sfide e vittorie
della Dott.ssa Hiba Hati
Consulente del lavoro, cybersecurity e specialista HR
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PREMESSE DEMOGRAFICHE
Negli ultimi anni, il tema dei diritti religiosi sul posto di lavoro è stato al centro di importanti dibattiti e sentenze. La necessità di bilanciare il diritto alla libertà religiosa con le esigenze aziendali di neutralità e sicurezza ha generato controversie significative, alcune risolte in favore dei lavoratori, altre in difesa delle imprese.
Il diritto alla non discriminazione e alla libertà religiosa è garantito da diverse normative:
- L’Articolo 3 della Costituzione Italiana sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzioni religiose.
- L’Articolo 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE vieta ogni forma di discriminazione basata sulla religione.
- La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) tutela la libertà di manifestare il proprio credo.
- La Direttiva 2000/78/CE stabilisce che ogni discriminazione diretta è vietata, mentre quella indiretta può essere consentita solo se giustificata da una finalità legittima e proporzionata.
Tuttavia, nonostante queste protezioni, casi di discordanza tra lavoratori musulmani e datori di lavoro continuano ad emergere, dimostrando come le norme spesso lascino spazio a interpretazioni controverse.
Un caso emblematico è quello di Asma Bougnaoui, ingegnere informatico in Francia, licenziata perché un cliente si era lamentato del suo hijab. La Corte di Giustizia dell’UE ha stabilito che il licenziamento costituiva una discriminazione diretta, perché la richiesta del cliente era basata unicamente sul credo religioso della lavoratrice, e il suo abbigliamento non influiva sulle sue competenze tecniche.
Diverso è il caso di Samira Achbita, receptionist belga licenziata per aver indossato il velo dopo che la sua azienda aveva introdotto una regola di neutralità visiva per i dipendenti a contatto con il pubblico. La Corte, in questo caso, ha considerato la norma interna legittima e non discriminatoria, poiché applicata in maniera generale a tutti i lavoratori, a prescindere dalla religione.
Questi esempi dimostrano come la giurisprudenza cerchi di bilanciare la tutela della libertà religiosa con le politiche di neutralità aziendale, portando però a risultati diversi a seconda dei contesti. Questo evidenza l’importanza, per ogni lavoratore, di informarsi in anticipo sulle politiche aziendali e di conoscere i propri diritti e doveri. Una maggiore consapevolezza può aiutare a prevenire situazioni di discriminazione, sia diretta che indiretta, e a fare scelte lavorative piú consapevoli.
Un’altra sfida riguarda la compatibilità tra abbigliamento religioso e norme di sicurezza. Ad esempio, in alcuni settori è richiesto l’uso di dispositivi di protezione come caschi o maschere, che potrebbero non essere compatibili con il hijab o la barba. Le aziende, in questi casi, devono dimostrare che le loro politiche di sicurezza siano realmente necessarie e non discriminatorie.
Un esempio positivo è rappresentato dalla decisione di alcune aziende di progettare attrezzature più inclusive, come caschi adattati per l’uso con il hijab, dimostrando che sicurezza e religione possono coesistere con soluzioni adeguate.
Consigli per i lavoratori musulmani:
1. Conoscere i propri diritti: é fondamentale essere informati sulle leggi contro la discriminazione religiosa e sul diritto di ricorrere legalmente in caso di violazioni.
2. Documentare le richieste: Ogni richiesta relativa a esigenze religiose (spazi per la preghiera, pause durante il Ramadan, ecc.) dovrebbe essere comunicata ufficialmente, preferibilmente per iscritto.
3. Dialogare con il datore di lavoro: Spiegare con calma le proprie necessità può favorire soluzioni condivise, evitando conflitti inutili.
4. Chiedere supporto: Comunità locali e associazioni possono offrire assistenza legale e morale nei casi di discriminazione.
5. Essere perseveranti: Ogni piccolo passo verso la tutela dei propri diritti contribuisce a creare un ambiente più inclusivo per le generazioni future.
In conclusione: le difficoltà per i musulmani sul posto di lavoro, specialmente in relazione a sicurezza e neutralità aziendale, sono reali ma non insormontabili. I casi di Asma Bougnaoui e Samira Achbita dimostrano che il dialogo tra religione e lavoro è ancora complesso, ma anche che è possibile ottenere vittorie importanti. La chiave è non arrendersi e continuare a cercare un equilibrio che rispetti sia la fede che le esigenze aziendali, contribuendo a costruire un mondo del lavoro più giusto e rispettoso della diversità .
Link che riportano alle sentenze:
Sentenza Achbita: https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=188852&doclang=IT
Sentenza Bougnaoui : https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=188853&doclang=IT
AUTORE:
della Dott.ssa Hiba Hati
Consulente del lavoro, cybersecurity e specialista HR